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CAPITOLO 2 : STORIA DELLA GRAFICA TELEVISIVA
P.2.1: “BREVE STORIA DELLA GRAFICA TELEVISIVA”
In Italia la pubblicità televisiva nasce nel 1957 con Carosello, sono passati solo 3 anni dall’inizio delle trasmissioni della RAI nel 1954, essa arriva come un vero e proprio spettacolo, con una propria sigla di apertura e di chiusura, tutti l’aspettavano ed andava in onda alle 20.30 dopo il telegiornale e “dopo il carosello tutti a letto” un modo di dire nazionale, ormai non più in auge,  per invogliare i bambini ad andare a dormire. Carosello era atteso e seguito da un pubblico numeroso, c’era chi accendeva il televisore apposta per vederlo ma in particolare era gradito dai più piccoli: la maggior parte delle scenette erano scritte pensando a loro, soprattutto per non turbarli con immagini o situazioni scabrose o equivoche, poichè era infatti diffuso il timore che la televisione, e ancora più la pubblicità televisiva, potesse avere un effetto diseducativo sui modelli di comportamento.
Le prime inserzioni pubblicitarie, che passavano durante Carosello, non erano simili agli spot come li intendiamo oggi poichè dovevano sottostare a delle regolamentazioni ben precise che ne stabilivano i crismi di messa in onda, erano più che altro sketches sponsorizzati ciascuno della durata di oltre due minuti, in cui la réclame vera e propria del prodotto doveva occupare solo una minima parte del corpo, e il resto era dedicato ad altre immagini: a volte semplici riprese di paesaggi, ma soprattutto scenette divertenti. I protagonisti di queste scenette erano talvolta comici o attori ben conosciuti dal pubblico, questo proprio grazie alla visione di film di successo e/o di spettacoli teatrali, commedie o varietà; si da il caso che anche la regia di questi stacchetti era del tutto teatrale, vi erano lunghe inquadrature fisse, molto parlato, qualche balletto e soprattutto scenografie tipiche da teatro. Con il passare del tempo il riferimento al teatro diminuisce sempre di più fino a sparire del tutto, aumentano i personaggi e i riferimenti cinematografici e si cominciano a vedere i primi riferimenti strettamente televisivi.
Adesso vediamo lo stesso spot più volte in un giorno e anche per diverse settimane di seguito, per Carosello al contrario le scenette dovevano essere sempre nuove, e cominciano quindi a nascere dei personaggi specificamente pubblicitari, come “l’uomo in ammollo” o il Calindri del Cynar  “contro il logorio della vita moderna”.

Tutte le pubblicità, quindi, erano concepite in modo seriale, come delle puntate che nel tempo sviluppavano un personaggio o un argomento, il collegamento tra le diverse puntate era garantito dallo slogan che spesso diventava un tormentone di uso comune o da un ritornello musicale. La popolarità delle serie di scenette era data inoltre dalla presenza dei cartoni animati con personaggi creati appositamente per un dato prodotto commerciale, basti pensare a Calimero il pulcino nero, Gregorio il guardiano del Pretorio, Unca Dunca, i Filibustieri della Fabbri e la Linea della Lagostina, queste animazioni furono una vera e propria occasione di lavoro e di crescita professionale per un’intera generazione di disegnatori che hanno dovuto subire il predominio della Disney e di Hanna e Barbera nel loro settore.
All’epoca non esistevano applicazioni del computer alla grafica, e per tutti gli effetti speciali bisognava lavorare fotogramma per fotogramma, persino per rendere l’effetto del movimento dei pupazzi animati. Al filone dei pupazzi animati appartengono alcuni esperimenti innovativi, come il Cavaliere Misterioso e Carmencita per la Lavazza e il pianeta Papalla per il Philco, realizzati da Armando Testa con semplici coni e sfere essi venivano attrezzati di minimi particolari che li caratterizzavano enormemente; il ricorso a cartoni animati e pupazzi ha permesso dei ritmi narrativi più veloci con un numero di inquadrature notevolmente superiore rispetto ai normali filmati con attori.
Oltre alla tecnica dell’animazione pura, come abbiamo citato sopra, certe pubblicità, se così vogliamo chiamare gli spettacoli che ci proponeva Carosello, venivano affrontate con tecniche miste sempre abbastanza innovative; basti pensare, ad esempio a Topo Gigio, una marionetta animata con la mano ripresa spesso in scene insieme a personaggi umani che divenne tanto popolare da avere una eco anche nelle generazioni dei più piccoli dei nostri tempi, essa fu inoltre fonte di ispirazione per altri show televisivi. Una delle serie più innovative era, senza ombra di dubbio, quella che pubblicizzava la carne Montana, essa mischiava un personaggio tipico da far west di nome Gringo con dei disegni fatti a mano
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A partire dalla seconda metà degli anni Settanta il Carosello verrà completamente eclissato dalla presenza dei break pubblicitari che interrompono i programmi televisivi per circa trenta secondi di pura réclame, sempre nello stesso periodo si avviano le rilevazioni di audience e i primi tentativi di network nazionali con imprenditori che acquistano o affinano emittenti fuori dalla propria area originaria.
Nel 1977 nasce “Superclassifica show”, questo era un programma televisivo musicale che settimanalmente informava sulle classifiche di vendita dei dischi. Successivamente il suo nome venne sostituito da “Supertelegattone” il cui nome era ispirato dalla presenza nella sigla di un   simpatico gattone blu, detto altrimenti Oscar, che nella storia di un breve cartone animato, ripetuto in due blocchi uguali, lo si vedeva sul tetto di un palazzo, accompagnato da un coro di gattine, lanciare con la coda un 45 giri allungando poi il collo fino ad assumere le sembianze di un'antenna da condominio. Da notare che dopo questa 'trasformazione', la sigla del nuovo programma faceva palese riferimento alla sigla di apertura dei programmi della RAI, le voci sia del Discolaccio, altro personaggio presente nella sigla, che di Oscar erano di Franco Rosi. Un importante contributo di basilare importanza per la regolamentazione della distribuzione e la vendita di spazi pubblicitari, viene da un’azienda privata, la Publitalia nata nel 1979, grazie alla quale la pubblicità trova sempre più stabilità nel mercato televisivo.
Nei primi anni di televisione italiana troviamo soprattutto pubblicità relative a prodotti casalinghi o di uso quotidiano che hanno rappresentato un sostanziale cambiamento nel modo di vivere della popolazione stessa: dentifrici, saponi, vestiti confezionati in materiali sintetici e i primi alimenti lavorati industrialmente (crakers, carne in scatola, marmellate, sciroppi, caramelle, merendine).

Anche in campo tecnologico i prodotti reclamizzati sono quelli che hanno garantito alla popolazione un benessere immediato e duraturo, come lavatrici, frigoriferi e caldaie, ed invece erano molto più rare le pubblicità che sponsorizzassero la vendita di televisori o apparecchi elettrici molto costosi, ed, inoltre, erano completamente inesistenti le pubblicità di automobili, anche perchè la FIAT, in Italia, aveva praticamente il monopolio nel settore.
Il dilagare del mezzo televisivo tra il popolo e il successo che la televisione stessa ha  contribuito ad alimentare, ha garantito al mezzo un ingresso quasi garantito nel mercato della compra vendita degli spazi pubblicitari, proprio per questa ragione si può notare nel decorrere degli anni una moltiplicazione esponenziale del numero degli spot. Al centro di ogni  spot c’è una storia che alcune volte risulta incentrata su di una famiglia che consuma o usa il prodotto reclamizzato, dando così allo spettatore un senso di appagatezza e giovialità che viene associato al prodotto protagonista della mini storia; tra le tante “tele-famiglie” protagoniste di spot del genere è molto importante ricordare quella del “MULINO BIANCO”, che ancora oggi, tra i vari cambiamenti generazionali, appare immutata nel suo contenuto. In questo spot preso in esame, era, come più o meno lo è tutt’oggi, rappresentato il vissuto quotidiano di una famiglia composta da una mamma, un papà e due figli biondi, rispettivamente un maschio e una femmina, essi erano sempre molto felici e andavano volentieri al lavoro e a scuola e si trovavano a fare i compiti con lieta serenità nella loro abitazione, un caloroso mulino bianco; questa rappresentazione utopica di famiglia ampiamente mitizzata è molto lontana dalla realtà e il compito di questo spot è quello di produrre nelle persone il desiderio di realizzare nel proprio nucleo familiare il medesimo clima, inducendole passivamente a pensare che uno dei tasselli mancanti possano essere i prodotti di quella marca.
A partire dagli anni ’90, nella logica di produzione delle réclame, vediamo sparire gradualmente la classica famigliola gaia e giuliva in favore degli spot televisivi con single, anziani, immigrati e coppie di fatto; inoltre aperte le porte al libero mercato sulla telefonia fissa e la forte concorrenza di operatori nella telefonia mobile ha fatto nascere una nuova esigenza nella pubblicità, sono stati creati spot martellanti su un genere che fino a pochi anni prima non aveva bisogno di essere sponsorizzato poichè aveva un unico rappresentante sul  mercato.


Oggi tutte le trasmissioni sono a colori e la programmazione televisiva non ha più inizio né fine, essa procede su tutti i canali a tutte le ore del giorno e della notte, ed inoltre la pubblicità televisiva non ha più uno spazio ridotto rigidamente delimitato in contenitori dedicati: gli spot  ad oggi hanno una durata molto più breve (il taglio classico è di 15 secondi, a volte di 30, ma più  spesso anche solo di 7 secondi), introducono e seguono ogni tipo di trasmissione, e di recente hanno cominciato ad invadere lo schermo anche durante i programmi in onda; oggi lo stesso spot passa decine di volte nel corso di una giornata su più canali televisivi, questo per essere sicuri di colpire un target più ampio di ascoltatori. A livello narrativo, il poco tempo a disposizione, non permette più a uno spot di parlare di altro che non sia il prodotto stesso, solo gli inserzionisti con maggiori possibilità economiche possono ancora giocare sulla serialità degli episodi pubblicitari utilizzando testimonial fissi che, sponsorizzando il medesimo prodotto in una sua nuova sfaccettatura, si trovano in situazioni diverse (ad esempio nella telefonia mobile italiana con (Wind, Vodafone e Tim). La narrazione trova più spazio invece nelle telepromozioni che vengono gestite direttamente da conduttori di programmi di successo, che sono soprattutto personaggi televisivi, con rare eccezioni di personaggi radiofonici, in delle scenette che possono svilupparsi all’interno di una tempistica più ampia ma solitamente, tutto il tempo che hanno a disposizione, viene usato per vendere il prodotto. Negli ultimi anni, nella produzione di spot di ogni genere, il trattamento computerizzato dell’immagine è ormai onnipresente, dai semplici interventi per la realizzazione di marchi e sigle, al compositing, ovvero la combinazione di elementi visivi provenienti da fonti distinte in singole immagini per creare l'illusione che tutti questi elementi facciano parte della stessa scena, a effetti anche di grande complessità, inoltre sono praticamente quasi del tutto spariti i pupazzi animati ed i personaggi d’animazione sono diventati piuttosto rari, questa è la videografica.

Tutte le réclame sono fornite di una colonna sonora, che quasi sempre accompagna il filmato dall’inizio alla fine; nella maggior parte dei casi, però, vengono utilizzati brani musicali già esistenti, mentre lo sviluppo di brani esclusivi è limitato quasi solo ai jingles e sigle che caratterizzano il marchio o il prodotto. Oggi il computer è lo strumento più usato per la creazione dei simboli grafici, ma non tutta la grafica è prodotta per essere vista dentro un monitor. 
La caratteristica della videografica è proprio quella di essere concepita per il piccolo schermo, di solito affronta strutture narrative elementari e racconti brevissimi che a volte si basano sul semplice meccanismo delle battute di spirito. Un’altra caratteristica della videografica è la sua tendenza all’evoluzione, puntando allo schermo con uno sguardo giovanile e sempre all’avanguardia, ogni visione sembra animata da una incessante voglia di metamorfosi che può tollerare solo qualche breve pausa. Il linguaggio che privilegia questa tecnica sono i valori espressivi della messa in scena, la spettacolarità del ritmo e l’enfasi emotiva; rispetto ad ogni sistematica e razionale decifrazione del testo viene preferito il forte coinvolgimento sensoriale cioè, il costante movimento delle immagini e la creazione di un’atmosfera delineata dalla presenza di una colonna sonora adeguata alla comunicazione prescelta, puntando sulla fascinazione ipnotica di suoni suadenti e immagini luccicanti piuttosto che sulla coerenza logica delle argomentazioni verbali e visive.
Il segno videografico nasce in bianco e nero, per riconoscere una figura si deve distinguere bene i contorni che la staccano visivamente dallo sfondo. Il rapporto tra figura e sfondo che caratterizza ogni simbolo grafico, può essere studiato prescindendo dalle altre informazioni riguardanti eventuali colori o gradazioni tonali o valori tattili delle superfici, anche la scelta del colore, delle texture, degli effetti di luce, e dei gradienti hanno una grande importanza in termini di progetto grafico, il colore oltre a poter essere usato come fattore segnaletico d’identificazione può avere un ruolo decisivo nel determinare l’impatto emotivo di dato un messaggio visivo. La texture consente inoltre l’evocazione diretta di sensazioni tattili, il gioco delle trasparenze e delle interposizioni tra gli elementi sulla scena, esso può essere reso in molti modi, ma nel caso che si tratti di una realizzazione in bianco e nero è utile ricorrere a semplici indizi prospettici oppure utilizzando valori dei grigi basati su diversi livelli d’intensità luminosa.
In definitiva il videografico è colui che sa trasformare il limite oggettivo del piccolo schermo in una appassionante sfida creativa, egli cercherà, in ogni modo, di far esplodere questo rettangolo così da tentare di fuoriuscire dalla scatola televisiva.
SCENA TRATTA DAL PROGRAMMA "CAROSELLO", 1957
P.2.2: “LA GRAFICA TELEVISIVA OGGI”
Una rete televisiva ha una sua identità, possiede dei tratti specifici che la rendono riconoscibile come gli elementi somatici per le persone. Questi tratti servono per definire la precisa formula di identificazione di una data trasmissione o emittente a prescindere dalla sua classica immagine di propaganda.
Creare e organizzare l’identità di un’azienda è compito di chi si occupa di graphic design attraverso la definizione di una serie di segni essenziali, la rappresentazione visiva dei valori delle tradizioni  e delle politiche di un azienda. Il graphic designer è il progettista, da lui dipende parte del successo di una certa produzione industriale. Anche un canale televisivo può avere alle spalle un meccanismo di comunicazione che non appare mai completamente al pubblico ma che serve per indirizzare la percezione che le persone devono avere su di un determinato prodotto, serve inoltre per attribuire significato ai contenuti e  per organizzare le informazioni secondo un ordine appropriato.
Canale5, Italia 1, Rete 4 e il resto dei canali di Mediaset Premium fanno capo ad un unico gruppo, Mediaset, ma ognuno di essi ha una diversa personalità e stile, ognuno è una marca a se stante che cerca di coinvolgere un target più vasto possibile. Le insegne, le grafiche, le scritte e i colori ci devono comunicare questa appartenenza singolare e ben definita.


Quando ci sediamo davanti alla televisione deve essere chiaro dove ci troviamo se su Mediaset, Rai, La 7, MTV, o qualunque altra emittente di questo mondo, il compito di non farci smarrire nel delirio dello zapping è attribuito al brand, ovvero l’insieme degli elementi utili all’identificazione del dato canale, ad esempio la Rai tiene il suo marchio in alto a destra, altri invece lo posizionano in altri luoghi ma comunque sempre in un angolo dello schermo sempre per non disturbare la visione della trasmissione.
I sistemi di regole che servono per gestire l’immagine coordinata di un dato prodotto sono molteplici tra cui l’uso del marchio, i vari codici cromatici, il carattere tipografico, i motivi grafici e gli schemi di impaginazione. Nel tempo queste variabili sono diventate sempre più complesse, questo perché prima i marchi apparivano solo sulle carte intestate e al massimo sulle pubblicità che passavano in tv o sui giornali, oggi invece li vediamo su ogni prodotto relativo ad un’industria di mercato, ad esempio sui camion, sul web e sulle architetture.
Nel caso di un canale televisivo, bisogna mettere in conto che gli elementi visuali non sono statici ma bensì dinamici, e quindi devono essere ideati con quella caratteristica, questo è evidente nei bumper: gli stacchetti che dividono la pubblicità dai programmi, se il marchio del canale normalmente è fermo, qui si muove, ruota, interagisce con lo sfondo, può diventare un pupazzo da fare apparire in molti contesti (come nel caso di Mtv) oppure possono diventare anche elemento cardine di una saga, come ad esempio “Uno di Uno” di Italia Uno.
La tv è un mezzo in movimento, quindi ogni sua applicazione, grafica compresa, è figlia di operazioni di montaggio e regia. La figura del “direttore creativo” di una data televisione deve avere competenze multiple soprattutto nell’ambito di regia audio\video, animazione e soprattutto in metodologia progettuale.
Il dipartimento che si occupa di ideare e coordinare l’identità di una data azienda non sempre fa parte dell’azienda stessa ma più spesso contribuiscono supporti esterni, ad esempio la BBC è famosa anche perchè fa gestire gli aspetti inerenti alla gestione dell’informazione grafica come gli schemi di lavoro, diagrammi di flusso o tavole animate, ad un uffico distaccato la “la Red Bee”, questo genere di studio si chiama infografica.

Anche la Mediaset nella sua direzione creativa e di coordinamento d’immagine unisce le funzioni di gestione e sviluppo delle reti alla produzione diretta e organizzazione dei contributi esterni. 
Sono molti gli studi e le agenzie esterne che collaborano con le emittenti televisive, il loro lavoro può limitarsi alla realizzazione delle sigle dei programmi, ma possono gestire anche campagne di lancio e rilancio, promo stagionali, bumper, o molto altro ancora; ad esempio la vecchia ditta “Canal+” si rivolse al graphic designer francese Etienne Robial, attivo nel settore cartaceo, ma che seppe risolvere anche gli eventuali problemi del video.
Alcuni studi sono celebri per la loro specializzazione nel settore televisivo, ad esempio gli inglesi Lambie Narin attivi per Channel 4 e collaborarono per il rilancio della BBC nel 1997.
Altre aziende che hanno aiutato molte multinazionali a crescere evolvendosi verso il target desiderato sono la “BDA” che ha lavorato per ABC, FOX, RTL (Germania), Discovery Channel, Mega (Grecia), e la “Velvet”, uno studio tedesco che ha realizzato, ad esempio, il design per Al Jazeera. Queste realtà esistono anche in Italia, tra le quali lo studio fiorentino LCD che ha curato l’immagine per Studio Aperto ed ultimamente ha fatto realizzato sigle per Mediaset Premium, oppure gli studio Convertino e Designers che lavorano ormai da anni per Mediaset.
Il primo marchio televisivo italiano d’emittente fu quello della RAI ad opera del famosissimo Erberto Carboni (1953), conosciuto anche e soprattutto per lo studio del packaging della Barilla. Carboni, per la RAI, ha realizzato la sigla che apriva le trasmissioni del 1979, annunci sui giornali, locandine e stand fieristici.


Le azioni istituzionali di rinnovo dell’immagine nella tv pubblica italiana sono meno evidenti, anche se un programma decisamente istituzionale come il Tg2 negli anni 80’ ebbe un forte intervento di design ad opera di Massimo e Lella Vignelli, famosi designer italiani residenti a New York; gli studi che avevano strutturato erano estremamente all’avanguardia non solo nella grafica ma anche lo spazio viene ridisegnato, essi progettarono anche una poltrona adatta alle interviste, comoda e capace di garantire una postura corretta. Il successivo re design della sigla del Tg2 segue una logica istituzionale che poi verrà applicata a tutte le testate giornalistiche della stessa emittente, a farlo sarà un’agenzia pubblicitaria, la cui sede romana McCann-Erikson rimarrà la stessa sino ad oggi dopo più di dieci anni di attività. È immutata anche la sigla del Tg3 realizzata nel 1986 da Mario Sasso che , oltretutto, nel 1990 realizzò delle sigle per il lancio di “RaiSAT”.
Dopo il periodo delle figure geometriche tridimensionali, la Rai è passata alla “farfalla” che, mettendo a fuoco i vuoti creati da quel marchio, può essere visualizzata anche come due profili. Ultimamente il logo Rai si è rinnovato in occasione del passaggio al digitale terrestre, tornando così alle forme geometriche.
A partire dalla metà degli anni ’80 in Italia c’è stata l’apparizione delle prime tv tematiche, tra tutte, nel 1984, ricordiamo la nascita di Video Music, la futura concorrente di Mtv, che prevedeva la messa in onda di video musicali.
Quando nasce Canale 5, la rete capisce subito l’importanza e la forza dell’uso dei bumper, da qui nascono i promo, che sono delle sequenze istituzionali destinate a lanciare un programma della rete,  così vediamo anche la nascita di una nuova figura professionale il “promoter”. Esso ha un misto di competenze tecniche visuali e commerciali ed il suo unico scopo è quello di rendere appetibili i prodotti trasmessi realizzati dal videografico.

I promo introducono un dato oggetto che, attraverso  lo studio di varie figure professionali dei diversi elementi chiave che lo caratterizzano, ha l’obiettivo di colpire pubblici diversie quindi un target più ampio possibile.
Bumper e promo sono due strumenti base per la promozione dell’identità di rete, altri ne seguiranno come le “diarie”, cornici che contengono una sequenza pubblicitaria, o gli “ident”, brevi filmati istituzionali. Parallelamente a questa evoluzione linguistica c’è un’altra nuova professione che vede la luce ed è quella del “Coordinatore di Immagine” che ha il compito di generare dei visuals capaci di attrarre l’utente e li coordina per identificare la personalità dell’emittente.
L’evoluzione del mercato televisivo viaggia di pari passo con la tecnologia. Sul piano del graphic design questa evoluzione rappresenta una sfida, con nuove tecniche grafiche e strumenti che rendono le reti sempre più nuove, accattivanti e familiari e incuriosendo spesso lo spettatore.
ALCUNI LOGHI CHE HANNO AFFRONTATO DEI MIGLIORAMENTI DI COMUNICAZIONE
P.2.3: “IL CAMBIAMENTO SOCIALE E LE INFLUENZE DELLA COMUNICAZIONE TELEVISIVA ”
La pubblicità può essere considerata come un genere televisivo a se stante, in primo luogo perché gli spot pubblicitari sono popolati molto spesso da personaggi televisivi che compiono le loro avventure\disavventure in qualità di testimonial, assumendo cioè la funzione di garanti, con il loro specifico assenso, offrendo consigli su diversi prodotti; in secondo luogo perchè, dal punto di vista della grammatica, essi hanno un linguaggio comunicativo comune che li rende simili tra loro.
La comunicazione pubblicitaria in televisione nasce con proprie regole comunicative anche dettate da censure.
Il 3 febbraio del 1957 viene affiancato alla normale programmazione televisiva, la prima forma di spazio pubblicitario italiano, il Carosello. Ogni suo singolo cortometraggio, parlando di regole comunicative, doveva durare 135 secondi ed era diviso in due parti specifiche, di cui la prima durava 1 minuto e 45 secondi ed era composta da scenette musicali, balletti e azioni drammatiche, la seconda parte invece doveva sviluppare in 30 secondi il codino pubblicitario ed era dedicata al messaggio vero e proprio. I caroselli, che ebbero maggior successo commerciale, furono quelli in cui il collegamento tra la prima e la seconda parte non era forzato.
Carosello era distribuito nel palinsesto RAI con il contagocce, ogni sera alle ore 21.30 e poi, dal 1973, fu anticipato alle ore 21.00, in esso venivano trasmessi solo 4 filmati  poi diventarono cinque e negli ultimi anni sei. La prima sera in particolare furono trasmessi i caroselli della Shell, de L’Orèal con Mike Bongiorno, che in seguito lo vedremmo impegnato con gli stacchetti per il detersivo Dash e per la grappa Bocchino, l’amaro Cynar e le macchine da cucire Singer. Ogni gruppo di filmati passava ogni dieci giorni a differenza dei giorni nostri dove una sola réclame passa più di dieci volte al giorno.

La “Sipra” si occupava delle vendite pubblicitarie radiofoniche ma, con l’avvento del mezzo televisivo, fu incaricata di occuparsi anche di quelle televisive, con l’aggiunta di molte più norme e limitazioni. Ogni azienda poteva avere un ciclo di passaggi all’interno di Carosello che contava sei messe in onda nel giro di sessanta giorni, le grandi aziende potevano permettersi di prenotare due cicli e i gruppi industriali addirittura tre.
La “Sipra” si occupava di scegliere le aziende che potevano acquistare un ciclo pubblicitario su Carosello, tenendo conto che cinque dei sei passaggi di un ciclo dovevano avere uno spettacolino prima della vera rèclame. Tutto questo perchè c’era un lungo elenco di prodotti che non si potevano pubblicizzare, ed esempio le automobili, i gioielli, le barche e altri prodotti di lusso, inoltre la censura basata su pudore pubblico non permetteva di nominare in pubblicità prodotti come la carta igienica e gli assorbenti, questo ad esempio spiega il fortunato slogan “Falqui, basta la parola”.
Per un ventennio la comunicazione pubblicitaria viene costruita in modo che spettacolo e le informazioni commerciali siano separati, ed è l’attore che con la sua recitazione e battute intrattiene e diverte il tele-consumatore. Nel corso degli anni ‘70, sul finire di Carosello e l’inizio da parte della Rai a trasmettere a colori (siamo nel 1977), viene abbandonata l’idea di ricorrere al personaggio noto per la pubblicità, questo per evitare il cosiddetto effetto vampiro, cioè evitare che il prodotto venisse assorbito, ovvero vampirizzato, dal personaggio famoso, così iniziarono a scegliere persone non famose per rappresentare la realtà sociale. 
Ci furono molti progressi pubblicitari nei primi anni ’70 nonostante le frequenti contestazioni moralistiche, politiche e sociologiche, in aggiunta le proteste delle femministe andavano contro la pubblicità che usava la donna come oggetto e come stereotipo sessista, c’era inoltre una totale insensibilità verso gli ideali altrui e verso gli stereotipi, soprattutto quelli femminili, come l’accoppiata donne e motori o quello della donna angelicata perché madre di famiglia. L’ideale femminista basato sulla libertà fu ribaltato e schernito nella pubblicità che si appropriò della sua libertà sessuale mettendola al servizio del pubblico maschile.
Nel 1970 l’americano David Campbell Harris (presidente dell’azienda “J.W.Thompson”) illustrò a Guido Mengacci (allora presidente dei “Professionisti Pubblicisti”) e a Vittorio Orsini (expresidente dell’OTIPI) la pratica dell’ “advertising council”. Questa veniva usata in America durante la seconda guerra mondiale, e consisteva nella realizzazione di spot pubblicitari, talvolta subliminali e subdoli, che tentavano di convincere, con discreto successo, la popolazione a sovvenzionare la guerra con l’invio di denaro per medicinali, cibo e beni di prima necessità. Finita la guerra le agenzie di comunicazione usarono questo modello pubblicitario per promuovere cause sociali di varia natura.

Nel 1970 Mengacci, Orsini e Fiaschi presentarono il modello di advertising council italiano al comitato vigente, lo scopo di questo modello era quello di imbellettare il volto della società capitalistica per tentare di ingraziarsi un maggior pubblico, ma allo stesso tempo era uno strumento che favoriva un ipotetico miglioramento della società. L’idea fu approvata appieno, costituirono così un comitato chiamato “Pubblicità Progresso”.     
Negli anni ‘80, invece, assistiamo ad un fenomeno di ritorno, ovvero le agenzie pubblicitarie ricercarono i personaggi famosi per sponsorizzare certi beni di consumo, sicuri così che la credibilità e il carisma di questi testimonial si riversi sul prodotto stesso. Il personaggio televisivo deve essere il più possibile se stesso e non interpretare una parte, così la popolazione si identifica e si riconosce con la persona famosa e l’attrazione per la star si riversa sul prodotto; la scelta del testimonial diventa inoltre sempre più attenta e deve rispondere a precise strategie di marketing, non è un caso che nei momenti di maggiore popolarità di una tale star, essa diventi preda del mercato pubblicitario. Così la pubblicità mostra di condividere i gusti del pubblico, con una strategia che crea complicità e lega maggiormente la marca ad un futuro consumatore.
In questo periodo, con la tv commerciale la pubblicità acquista nuovi spazi, non è più segregata nei confini di Carosello, ma libera di interrompere le trasmissioni televisive nel corso della giornata.

Con gli anni ’90, in Italia, la comunicazione pubblicitaria entra in crisi a causa di una profonda falla nell’economia del paese ed una conseguenza di tutto questo è il ridotto carisma della cosiddetta marca industriale; questa crisi è segnata nel 1991 con l’arrivo degli hard discount, i punti vendita a basso costo. La pubblicità si adegua e cerca nuove strade per attirare e affascinare i consumatori, inizialmente riproponendo personaggi e azioni ripresi da Carosello, fino a quando nel 1998 nasce la pratica dell’ ”advertainment” cioè il proporre un prodotto raccontandolo a puntate. Tra il 1996 e il 1997 c’è una produzione di circa 248 ore di fiction, questo portò alla nascita e all’esplosione della fiction pubblicitaria, ovvero la narrazione di eventi di determinati personaggi legati alla commercializzazione di un dato prodotto,  un esempio molto noto fu la saga delle pagine gialle con Massimo Lopez.
Sono spot con una evoluzione diacronica delle vicende di alcuni personaggi primari ai quali a volte si aggiungono personaggi secondari. Come piace la fiction televisiva, piace anche la fiction pubblicitaria che risulta divertente e d’intrattenimento, suscitando curiosità e quindi attesa; la pubblicità in questo modo cerca di costruire degli spazi di appuntamento con il consumatore e la serialità pubblicitaria fa si che il consumatore si affezioni ad essa come ad un qualsiasi programma televisivo. Spesso capita che la pubblicità, come accade nelle ormai popolari trasmissioni “Amici” e “Grande Fratello”, generi personaggi televisivi, ad esempio la sconosciuta modella australiana Megan Gale che si è guadagnata col tempo la notorietà partendo da icona di una compagnia telefonica italiana.
Programmazione televisiva e comunicazione pubblicitaria sono ormai interrelate fra di loro, ma è estremamente importante che il telespettatore/consumatore sia comunque messo nelle condizioni e quindi consapevole di capire dove inizia l’una e finisce l’altra.
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